Una storia di famiglie storiche di Firenze...

  • OGGI

    Il palazzo subì alcune modifiche per adeguarlo all’attività educativa dell’Istituto, i cui allievi aumentarono presto di numero, attività che, tra alti e bassi, durò ininterrotta fino all’alluvione del 4 novembre 1966, che danneggiò notevolmente l’edificio.
    Dopo il 1968 i locali al piano terra divennero sede di aule di disegno per l’Accademia Statale di Belle Arti, mentre i piani superiori furono utilizzati come alloggi (tre degli appartamenti furono affittati a privati e due al comune, che li concesse in gestione alla Caritas per gli sfollati), uno dei quali era ancora abitato quando furono iniziati i lavori di restauro conservativo, progettati dall’architetto Salvatore Clienti e diretti dal geometra Orlando Giannoni, realizzati nei mesi centrali del 2007, che gli hanno dato l’aspetto attuale.
  • ANNO 1799

    Ferrante nel 1799 fu arrestato dai Francesi, per soffocare la reazione che covava a Firenze, e poi portato come ostaggio in Francia per un anno. Alla sua morte lasciò il palazzo al figlio Giovambattista.
    L’edificio risultava diviso in sei appartamenti, due per piano, ciascuno dei quali dotato di cucina e “luogo di comodo” con corte servita di pozzo e acquaio; era stimato 2.785 scudi.
    Giovambattista, contemporaneo del marchese Gino, il riformista moderato, eletto senatore, con cui figura tra i fondatori della Cassa di Risparmio, parteggiò invece per i granduchi, come aveva sempre fatto il suo ramo familiare; fu un perfetto signore, anche se privo di ambizione; grande proprietario terriero, ed eccellente amministratore, era tanto ricco da venir chiamato dai fiorentini il “vitello d’oro”. Ebbe tre figli: Ferdinando, che divenne arcivescovo di Pisa, ma non ebbe la porpora cardinalizia perché sospettato di liberalismo, Carlo, un erudito morto in giovane età, e Luigi Ferrante, che dilapidò le sostanze della sua famiglia e di quella della ricca moglie, annientando quasi il patrimonio fondiario dei Capponi.
    Sarà proprio lui col fratello Carlo a vendere la residenza di Via dei Michelozzi al Pio Istituto dei Bardi il 12.08.1865.
  • ANNO 1761

    I discendenti di Ferrante Capponi vissero tutti i travagli che scossero il passaggio di secolo, con l’arrivo dei Lorena, la loro cacciata, il governo dei Francesi e il ritorno dei Granduchi austriaci.
    Il figlio Ferdinando Carlo, che divenne senatore, era un inetto, un bigotto e un conservatore, che intraprese una timida reggenza reazionaria all’epoca dell’invasione francese.
    Nel catasto del 1761 il palazzo Capponi di via Michelozzi è denominato “casa di due cantonate”, il che conferma che la facciata principale fosse proprio quella su via Michelozzi.
    Agli inizi dell’800 il palazzo passò di proprietà prima di Camillo e poi di Ferrante, figli di Ferdinando Carlo e Teresa Pandolfini.
  • ANNO 1651

    Intorno alla metà del ‘600 vi viveva Ferrante Capponi, detto “il senator gravissimo”, che fu un erudito ed un esperto giureconsulto, eminenza grigia dei Medici per venti anni; fu socio dell’Accademia della Crusca e dell’Accademia Fiorentina, soprintendente alle università fiorentina e pisana, governatore di Pisa, e Auditore della Giurisdizione, cioè preposto a giudicare le controversie tra il Granducato e la Chiesa romana in materia di affari ecclesiastici.
    Fu lui che nel 1651 riacquistò per 7.000 scudi la parte che era stata venduta ai Michelozzi, riunificando il palazzo ed apponendovi forse lo stemma di famiglia (uno scudo diviso in bande, una nera e una argento) sulla facciata su Via dei Michelozzi, che ristrutturò, rendendola la principale del palazzo.
    Sposando Margherita di Tommaso Capponi, che apparteneva ad un altro ramo della sua stessa famiglia, entrò in possesso del Palazzo delle Rovinate in via dei Bardi, di cui la moglie era erede, palazzo che divenne la dimora principale della famiglia. Non avendo figli, quando morì nel 1689 lasciò tutti i suoi beni prima a Camillo e poi a suo figlio Ferrante, anche loro appartenenti ad un’altra linea della famiglia Capponi.
    Ferrante fu mandato da Cosimo III dei Medici a Vienna, dove si trattenne a lungo, ingraziandosi la corte e l’imperatore Leopoldo, che gli conferì il titolo di conte, titolo che il Granduca, per ricoprendolo di onori al suo ritorno, gli confermerà solo ventitre anni dopo.
  • ANNO 1584

    Nella nota pianta di Firenze realizzata nel 1584 dal cartografo del Granduca, Stefano Buonsignori, l’edificio, diviso in due abitazioni, occupava tutto il lato destro di quella che allora si chiamava “via traversa che va da Via Maggio alla Piazza Santo Spirito”.
    Una breve descrizione dell’interno risale al 1618, quando i due eredi del senatore, sempre per difficoltà economiche, affittarono la parte di loro proprietà al conte Francesco Saracinelli, riservandosi un vano grande al primo piano per riunirvi la masserizia e una stanza al piano terreno per adibirla a vendita di vino.
    Nel 1626 il palazzo rimase di proprietà del solo Nicola, cui il nipote aveva donato la sua parte.
  • ANNO 1550

    Dopo la morte di Niccolò nel 1539, i figli ed eredi nel 1550 furono costretti da ristrettezze economiche a vendere parte dell’edificio, quella che dava su Piazza Santo Spirito, ad Antonio di Girolamo Michelozzi (altro illustre casato del quartiere, uno dei cui membri fece erigere l’altare della Chiesa di Santo Spirito), per 500 scudi. Il senatore Giovambattista Capponi, segretario del granduca mediceo Francesco I, ereditò nel 1567 il settore del palazzo verso Via Maggio, rimasto di proprietà della sorella Margherita, e ne avviò i lavori di ricostruzione delle facciate, per dare all’edificio un carattere unitario.
    Durante questi lavori scelse come prospetto principale proprio quello su Via Maggio, la strada più signorile dell’Oltrarno; probabilmente in questa occasione furono create ad opera dello scalpellino Gherardo Mechini le finestre cosiddette “inginocchiate” che lo arricchiscono; fu ristrutturato anche l’interno, per adeguarlo allo status sociale del senatore.
    Alla morte di Giovambattista il palazzo passò a suo figlio Nicola e al nipote suo omonimo.
  • ANNO 1509

    Lungo il lato settentrionale di Via dei Michelozzi, ora occupato dal palazzo in cui ha sede il Pio Istituto dei Bardi, in origine erano edificate due case dei Biliotti, uno dei più cospicui casati del quartiere di Santo Spirito, che possedeva tutti gli edifici lungo la strada, che ne prendeva il nome (ancora oggi l’angolo con via Maggio su cui sorge il palazzo omonimo, dotato di mensole, è chiamato “canto dei Biliotti”); già nel 1442 i due edifici erano stati riunificati e vi erano state realizzate cinque botteghe date in affitto ad artigiani.
    Nel 1509 Giovannozzo di Cristoforo Biliotti vendette la casa a Niccolò di Andrea Capponi (questa famiglia, tra le più importanti di Firenze, cui dette molti uomini politici famosi, come il Gino che conquistò Pisa, Niccolò che fu l’ultimo podestà e il famoso Piero “delle campane”, era imparentata coi Biliotti), il quale dieci anni dopo la ristrutturò, destinandola interamente ad abitazione e facendone una residenza patrizia, per adeguarsi al rinnovamento di Via Maggio, che proprio in questo periodo aveva trasformato il tessuto urbanistico popolare trecentesco del quartiere di Santo Spirito in una parata di ricche dimore gentilizie.